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Attraverso lo sguardo dei numerosi personaggi delineati con tratti sicuri, Tyrewala descrive una variegata umanità alle prese con il quotidiano, che si confronta con il peso della tradizione, le derive del progresso, la povertà, l'imposizione o l'assenza dei valori, gli scontri religiosi e i dubbi esistenziali. Il libro si apre con l'autoritratto della signora Khwaja, un tempo poetessa capace di attardarsi ore e giorni sulle metafore più sottili, adesso ridotta al silenzio dal suo ruolo di angelo del focolare, moglie e madre immersa ventiquattr'ore al giorno nei suoi compiti. Prende la parola il signor Khwaja, che dichiara di non riconoscere più sua moglie dopo ventisei anni di matrimonio, di non trovare più poesia nella loro vita, racconta del figlio Ubaid, che vive perennemente connesso a Internet, e della figlia Minaz, mai a casa. Entra in scena Ubaid, per lui la casa è sua madre che gli propina cibo, suo padre che borbotta, rimprovera e si lamenta, sua sorella, che di fronte a tutto questo fugge via, mentre lui stesso si rifugia in Rete, alla ricerca di altri come lui. E così via, i lettori assistono alle vicende grandi e piccole, pubbliche o private di santoni in crisi, mendicanti, cinici reporter, commercianti, poliziotti, gangster e un'infinità di altri personaggi, tutti intenti a interpretare come possono le loro vite su quel palcoscenico che è Bombay.